LA RETROATTIVITA’ DEI TAGLI ALLE PENSIONI PASSA ALLA CONSULTA

24.12.2015 14:08

La retroattività dei tagli alle pensioni di reversibilità passa l’esame davanti alla Corte costituzionale. E questo grazie alla ordinanza redatta dalla giudice Silvana Sciarra, a suo tempo eletta coi voti dei grillini su indicazione del Pd. Ennesimo episodio dell’eterogenesi dei fini in politica e nelle istituzioni. Infatti si può parlare di una pronunzia “montiana”, alla faccia dell’anti sistema dei 5 stelle. Ad andarci di mezzo una disabile, che si era vista tagliare l’indennità percepita per molti anni dopo la morte dell’unico genitore rimastole, il padre, che la assisteva. E ciò nel 2006, grazie alla legge finanziaria del secondo governo Prodi.

Purtroppo ormai le esigenze di bilancio in Costituzione hanno di fatto superato in gerarchia anche i diritti fondamentali dell’uomo così come sanciti tra l’altro dalla Corte europea relativa, la Cedu. Che all’articolo 6 tutela quanto meno i processi in corso dichiarando che non possono essere condizionati da provvedimenti governativi o amministrativi. Specie quando lo Stato è parte in causa del giudizio di merito.

E la signora in causa di procedimenti in corso ne aveva avuti ben tre: in primo e secondo grado il giudice civile del lavoro le aveva dato ragione e persino la Corte dei conti a sezioni unite aveva detto che quei commi 774, 775 e 776 dell’articolo 1 della legge 296, licenziata il 27 dicembre 2006, erano da considerare contrari allo spirito della Costituzione.

Da ultimo anche la Suprema Corte di Cassazione, sezione lavoro, aveva dato implicitamente ragione alla signora nel proprio ricorso contro l’Inail. Ma aveva anche sollevato eccezione di costituzionalità davanti alla Consulta. E questo passo si è rivelato un boomerang. Conveniva cassare e basta.

Infatti la Corte costituzionale con la ordinanza 274 del 22 dicembre scorso, redattrice Silvana Sciarra, richiamandosi a una giurisprudenza divenuta ormai costante di mettere le esigenze del bilancio dello stato davanti ai diritti dell’uomo, specie in materia di quiescenze e di diritti acquisiti nella reversibilità e di retroattività in genere, se ne è infischiata altamente delle censure persino della Cedu affermando questo originale principio: “..in relazione ai rapporti di durata, non si può riporre alcun ragionevole affidamento nell’immutabilità della disciplina e non sono precluse modificazioni sfavorevoli, finalizzate a riequilibrare il sistema..”. Tradotto in parole povere se non è il famoso assioma del marchese del Grillo, “io so io e voi non siete un c..”, poco ci manca. Dove ovviamente “io” è lo stato Moloch, e “voi” tutti i cittadini.

E per quanto riguarda le obiezioni della Cedu la Sciarra se la cava così: “non si può configurare un’ingerenza arbitraria nell’autonomo esercizio delle funzioni giurisdizionali, sol perché la norma impugnata trova applicazione nei giudizi in corso: l’incidenza sui giudizi in corso è connaturata alle norme interpretative, con efficacia retroattiva (sentenza n. 227 del 2014, punto 3. del Considerato in diritto)”.

E che c’è scritto in quella sentenza 227 del 2014 richiamata, redatta da chi oggi presiede la consulta, cioè Alessandro Criscuolo (ottimo giurista dietro cui ripararsi), in quel determinato punto tre del “considerato in diritto”? Che è vero che la Cedu esclude la possibilità di intervenire in questioni che sono oggetto di dibattimenti in corso e in cui lo stato è anche parte. Ma che è anche vero che “che la legittimità di tali interventi è stata riconosciuta: 1) in presenza di “ragioni storiche epocali”, come nel caso della riunificazione tedesca, unitamente alla considerazione della sussistenza effettiva di un sistema che aveva garantito alle parti, che contestavano le modalità del riassetto, l’accesso a, e lo svolgimento di, un processo equo e garantito» […]; 2) «per ristabilire un’interpretazione più aderente all’originaria volontà del legislatore, al fine di porre rimedio ad una imperfezione tecnica della legge interpretata» […].”

Paragonare il taglio retroattivo alle pensioni di reversibilità alla riunificazione della Germania è roba da fare ridere i polli, mentre apodittico appare quel “ristabilire un’interpretazione più aderente all’originaria volontà del legislatore al fine di porre rimedio ad una imperfezione tecnica della legge interpretata”.

Come fanno oggi i giudici della Consulta a sapere quale fosse “l’originaria volontà” del legislatore del 1959 (Legge del 27 maggio numero 324) grazie al quale la signora disabile percepiva quella indennità che poi nel 1995 fu tagliata in teoria solo per chi andava in pensione dopo tale data? E in seguito per tutti dopo la finanziaria del secondo governo Prodi?